11 marzo 2025 Ruwaida Kamal Amer
Per 17 mesi, Ahmed Al-Hissi, un pescatore di 54 anni del campo profughi di Al-Shati a Gaza, non ha toccato la sua canna da pesca. È rimasta nel deposito vicino al porto dove l’aveva nascosta poco dopo che Israele aveva lanciato il suo assalto alla Striscia, e non ha osato recuperarla, nemmeno dopo l’entrata in vigore del cessate il fuoco.

Resta poco dell’industria ittica di Gaza, devastata dalla guerra e da anni di restrizioni israeliane. Eppure i pescatori si aggrappano ancora al loro sostentamento.
“Abbiamo famiglie numerose e la pesca è la nostra unica fonte di reddito”, ha spiegato a +972 Magazine. “Stiamo ancora aspettando che l’esercito [israeliano] ci permetta di pescare”.
Per anni, i pescatori di Gaza hanno dovuto fare i conti con zone di pesca sempre più ridotte imposte come parte del blocco del territorio da parte di Israele. Ma dopo il 7 ottobre, l’industria si è completamente fermata, con le navi militari israeliane che aprivano regolarmente il fuoco su chiunque entrasse in mare. “I miei figli hanno provato a pescare dalla spiaggia, e sono stati comunque colpiti”, ha raccontato Al-Hissi.
Dopo l’entrata in vigore del cessate il fuoco a gennaio, Al-Hissi, che pesca fin dall’adolescenza, è tornato al porto con i figli nella speranza di tornare al lavoro. Hanno trovato una scena di totale devastazione: tutte le barche nel porto erano state distrutte. “Non c’era più niente”, ha detto. “Dobbiamo ricominciare da zero”. Continue reading →