Il «lungo viaggio» verso la Palestina: 65 anni dopo essere stata approvata, la Risoluzione 194 continua a segnare il conflitto israelo-palestinese.

9 Dicembre 2013 / Fonte: Al Jazeera English, Ghada Karmi

Questo dicembre verrà ricordato come il mese in cui è morto Nelson Mandela, un evento che segna la fine della vita epica di un uomo che lascia dietro di sé un’eredità di compassione per tutti coloro che soffrono a causa delle ingiustizie, non da ultimo i palestinesi.

palestinesi mostrano il simbolo per il ritorno: la chiave delle case che hanno dovuto abbandonare nel ’48

In diverse occasioni Mandela parlò dell’ «ingiustizia e delle enormi violazioni dei diritti umani perpetrate in Palestina», e affermò che «sappiamo fin troppo bene che la nostra libertà è incompleta senza la libertà dei palestinesi».

E’ una strana coincidenza che questo stesso mese segna anche l’anniversario di un tentativo internazionale di risolvere l’ingiustizia più pesante e persistente ai danni dei palestinesi: il loro sfollamento e spogliazione del 1948.

L’11 dicembre, saranno passati esattamente 65 anni da quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite votò a favore della Risoluzione 194, la quale faceva appello al neonato Stato di Israele affinché rimpatriasse i palestinesi sfollati, «che desiderano vivere in pace con i propri vicini, entro il minor tempo possibile», e li risarcisse delle loro perdite. Una Commissione di Conciliazione fu messa in piedi per monitorare le riparazioni.

Nonostante non sia mai stata messa in pratica, la Risoluzione 194 costituisce la base legale per il «diritto al ritorno» al quale i palestinesi si aggrappano da 65 anni. Nei decenni seguenti l’emanazione della Risoluzione, i rifugiati palestinesi, invece di tornare a casa, sono diventati una componente semi-permanente del paesaggio arabo, abitando in campi, lontani dalla vista e spesso lontani dalla mente. Al momento, con l’attenzione del mondo concentrata sulla crisi dei rifugiati siriani, i profughi palestinesi sono diventati ancora più invisibili.

Mentre per i rifugiati siriani esiste l’ eventualità che un giorno possano tornare nel loro paese, nessun tipo di ritorno fa parte del ventaglio di possibilità lasciate ai palestinesi.

– Dimenticati, ancora

La crisi siriana è davvero tragica, ma è giusto ricordare che non coinvolge solo dei siriani. Tra i 2 milioni di siriani che si stima siano stati sfollati a causa del conflitto dal 2011, ci sono circa 270.000 palestinesi, circa la metà dei 540.000 che vivevano nei campi ONU siriani, che ora diventano profughi per la seconda volta. A loro non è stata dedicata molta attenzione, ma il loro destino è molto peggiore. Quelli che sono fuggiti in Libano o Giordania, non hanno trovato molto supporto e non possono tornare in Siria perché due terzi dei loro campi sono stati distrutti o sono diventati delle zone di guerra.

Mentre per i rifugiati siriani esiste la possibilità che arrivi il momento in cui potranno tornare nel loro paese, questa opzione non esiste per i palestinesi. Se la Risoluzione 194 fosse stata applicata, questa situazione non si sarebbe mai creata.

Nonostante ciò, e i decenni passati dal 1948, la risoluzione rimane sulla carta e tuttora costituisce una base legale per il diritto al ritorno dei palestinesi. Ormai quasi più nessuno la menziona per nome, ma continua a pesare sul conflitto israelo-palestinese, e a rappresentare un ostacolo insormontabile in tutti i negoziati di pace. Per sviarla, la questione dei profughi è stata posticipata ad una data non specificata alla fine dei negoziati, oppure, più recentemente, è stata usata come merce di scambio per ottenere concezioni da Israele nel caso in cui venisse revocata.

Il Piano di Pace Arabo del 2002 si riferisce in modo ambiguo ad una «soluzione giusta» per la questione dei rifugiati senza entrare nello specifico, e gli attuali negoziati di pace israelo-palestinesi, sponsorizzati dagli Stati Uniti, hanno proposto un ritorno simbolico di rifugiati in Israele, mentre gli altri andrebbero a finire nello stato palestinese, se questo avrà le capacità di accoglierli. In altre parole, il diritto al ritorno verrebbe usato come compensazione per l’accettazione di un accordo di pace da parte di Israele.

– La risolutezza di Israele

E’ l’ostinazione di Israele di fronte alla Risoluzione 194, e la sua giustizia naturale, che ha creato questa situazione. Dall’inizio, Israele rifiutò le richieste dell’ONU per il rimpatrio dei palestinesi, anche se i termini di ammissione come membro dell’ONU richiedono di aderire alle risoluzioni, inclusa la 194. Quando il Mediatore ONU per la Palestina, il diplomatico svedese Conte Bernadotte, colpito dalla situazione dei rifugiati, tentò di spingere per un rimpatrio secondo la Risoluzione 194, dei dissidenti dell’organizzazione israeliana Irgun sotto Menachem Begin (divenuto in seguito Primo Ministro israeliano) lo assassinarono nel settembre del 1948.

Nulla ha fatto vacillare l’opposizione di Israele. In 65 anni, questo paese non ha rimpatriato nemmeno un rifugiato, né ha ammesso la propria responsabilità nella creazione del problema dei rifugiati, o chiesto scusa per le sue azioni nel 1948. Invece, ha chiesto che i rifugiati si insedino in altri stati e cerchino delle compensazioni nei fondi internazionali.

Questa politica della negazione ha fatto molto comodo ad Israele. Quando nelle guerra del 1967 un altro quarto di milione di palestinesi furono sfollati, allo stesso modo, a loro non fu mai permesso di tornare, ma questa volta con minore pressione internazionale. Nel corso degli anni, le espulsioni di palestinesi, più lente ma continue, dalle terre sotto occupazione israeliana, sono passate inosservate. Al momento, il governo israeliano ha in progetto di espropriare altri 40.000 palestinesi, beduini del Negev, e di confiscare le loro terre, con il Prawer Plan, creando in questo modo altri rifugiati interni. Nessuna azione internazionale sembra essere in progetto per prevenire l’esecuzione di questo piano spietato da parte di Israele.

Nell’ignorare il diritto al ritorno dei palestinesi, Israele non ha fatto altro che seguire il pensiero del suo primo Primo Ministro David Ben-Gurion. Il 18 luglio 1948, scrisse nel suo diario: «Dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere affinché loro [i profughi palestinesi] non ritornino. I vecchi moriranno e i giovani dimenticheranno.”

Ma nonostante gli sforzi di Israele e il tradimento da parte delle potenze mondiali e di varie leadership arabe, i palestinesi non dimenticano.

– Sofferenza documentata

Nella loro lunga lotta contro l’oblio, arriva la notizia di un’importante iniziativa dell’UNRWA, l’agenzia ONU fondata nel 1949 per occuparsi dei profughi palestinesi, che li supporterà in questa impresa. Pochi sanno che negli archivi dell’UNRWA è presente una ricchissima documentazione dell’esperienza dei profughi palestinesi, in fotografie, video e film dai primi giorni ad oggi. Questa documentazione è costituita dalle immagini dei palestinesi nelle varie fasi dell’esperienza di diventare profughi: forzati ad abbandonare le loro case nel 1948; la creazione dei campi profughi negli anni ’50; il secondo esodo del 1967; i profughi del Libano; e le vite delle comunità di rifugiati dagli anni ’80 al ventunesimo secolo.

La maggior parte di questa importantissima collezione, mezzo milione di immagini che descrivono la storia e lo sviluppo della tragedia dei rifugiati, sta per essere digitalizzata e quindi preservata per i posteri, un enorme e costoso progetto già registrato nel «Registro della Memoria del Mondo» dell’UNESCO. Verrà messa a disposizione di scrittori, accademici, ricercatori e giornalisti, ma soprattutto sarà a disposizione di generazioni di palestinesi che potranno imparare la loro storia e sapere che sarà al sicuro dalla distruzione da parte di coloro che, come Israele, vorrebbero cancellare il passato.

Questo è già successo. Durante l’invasione israeliana del Libano nel 1982, e l’assalto israeliano a Gaza nel 2008, Israele ha confiscato o distrutto un numero imprecisato di documenti dell’UNRWA. Mentre la maggior parte dell’archivio è stato spostato da un luogo all’altro, il progetto di digitalizzazione lo proteggerà per sempre.

Il progetto dell’UNRWA è stato lanciato a Gerusalemme alla fine di novembre con una bellissima esposizione, «Il lungo viaggio», contenente fotografie mai viste prima dell’esodo dei rifugiati dei primi giorni, che datano della fine degli anni ’40 e degli anni ’50. Un tour di questa esibizione è in progetto, in diversi paes arabi, e se possibile in Europa. Ma, ovunque essa venga esposta, merita un audience più numerosa possibile per riportare nella coscienza pubblica una tematica deliberatamente marginalizzata, negata, e manipolata da 65 anni.

Ghada Karmi è l’autrice del libro “Sposata a un altro uomo: per uno Stato laico e democratico nella Palestina storica”.(Deriveapprodi, 2010)

Fonte: http://www.aljazeera.com/indepth/opinion/2013/12/long-journey-palestine-201312944419714964.html

 

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