31 maggio 2021 | Haidar Eid
L’unità che i palestinesi hanno dimostrato nelle ultime settimane segna l’ascesa di una nuova coscienza nazionale.
Dopo l’ultimo attacco genocidario dello stato di apartheid Israele sono stati ancora una volta sollevati alcuni seri interrogativi sull’utilità della resistenza e se l’esito della guerra possa, o meno, essere considerato una vittoria per il popolo palestinese. Quelle stesse domande sono state sollevate nel 2009, 2012 e 2014, quando Israele ha lanciato massicci attacchi contro Gaza, e anche durante la Grande Marcia del Ritorno – protesta non violenta del 2018 – quando i palestinesi hanno marciato verso la recinzione intorno alla Striscia e sono stati uccisi dai colpi di arma da fuoco dei cecchini israeliani.Alcuni “liberali” sono ricorsi ai soliti proclami, incolpando le “due parti del conflitto” – cioè il colonizzatore e il colonizzato, e concludendo che i palestinesi devono smettere di lanciare razzi da Gaza.
Ancora una volta siamo stati sfidati da quelle stesse voci “neutrali” sulla definizione stessa di resistenza. Non riescono a vedere, per ragioni ideologiche, che la resistenza non è solo la capacità di combattere contro un oppressore militarmente più potente, ma anche la capacità di resistere in modo creativo alla colonizzazione della propria terra. Non riescono a capire il potere delle persone, nel nostro caso, “sumud” (risolutezza), e nemmeno a vedere che esiste.
In altre parole accettano la narrativa di Israele, dove ci sono “due parti del conflitto” con uguale potere militare e posizione morale. Rifiutano la realtà che questo è un progetto colonialista e di apartheid appoggiato dall’Occidente a cui il popolo palestinese sta resistendo. Ignorano anche tutte le nostre “armi” morali: che siamo i nativi di questa terra, che abbiamo il diritto internazionale a sostegno delle nostre rivendicazioni, che abbiamo una grande morale, sempre più sostegno da parte della società civile internazionale e molto altro ancora.
Edward Said una volta disse che l’intellettuale dovrebbe essere “qualcuno che non può essere facilmente cooptato da governi o società e la cui ragion d’essere è rappresentare tutte quelle persone e quei problemi che vengono regolarmente dimenticati o nascosti sotto il tappeto. ”
Quelle voci “liberali” che hanno condannato la “violenza” palestinese nell’ultimo confronto con Israele stato di apartheid sono anti-intellettuali. Si rifiutano di vedere che i palestinesi sono in grado di essere agenti di cambiamento nel loro presente e futuro. Sono ideologicamente incapaci di riconoscere la risolutezza palestinese, perché si rifiutano di rispettare la volontà del popolo espressa nel sostegno popolare dato alla resistenza nelle sue varie forme: a Gaza, in Cisgiordania e nelle aree occupate da Israele durante la sua creazione nel 1948.
Inoltre non sono in grado di vedere la vittoria palestinese su Israele stato di ‘apartheid nei recenti eventi. Si schierano con la classe dirigente fascista israeliana che crede di aver “vinto” perché ha ucciso un numero enorme di “terroristi”: 253 palestinesi, tra cui 66 bambini, 39 donne e 17 anziani.
Tuttavia, nessuno dei cosiddetti “obiettivi” della guerra israeliana a Gaza – porre fine al lancio di razzi da Gaza e distruggere i tunnel utilizzati dai combattenti della resistenza e offuscare qualsiasi forma di unità tra Gerusalemme e Gaza – è stato raggiunto. I razzi vengono ancora lanciati e il movimento di resistenza si è dimostrato abbastanza forte da rispondere alla chiamata all’azione dei gerosolimitani di Sheikh Jarrah, che stanno affrontando un’imminente pulizia etnica da parte di Israele.
Come un frustrato pilota israeliano che ha bombardato Gaza ha detto in un’intervista per il canale israeliano 12: “sono andato in missione per effettuare attacchi aerei con la sensazione che distruggere le torri fosse un modo per sfogare la frustrazione per ciò che ci stava accadendo, e per il successo che i gruppi a Gaza stavano avendo nel prenderci a calci… Non siamo riusciti a fermare il lancio di razzi e a danneggiare la leadership di questi gruppi, quindi abbiamo distrutto le torri”.
Ma, cosa ancora più importante, Gaza 2021 ha sfatato i miti attentamente costruiti e difesi con zelo che Israele ha promosso per decenni: che ha l’esercito “più morale” del mondo, che la sua Cupola di Ferro è invincibile, e che i palestinesi sono solo “arabi” che non hanno un’identità comune e rinuncerebbero alla loro pretesa sulla terra una volta estinte le vecchie generazioni.
È ovvio che quelle “voci neutrali” che incolpano “entrambe le parti” sono sotto l’ “incantesimo” di questi miti ed è per questo che vedono la resistenza palestinese come “violenza ingiustificata” e “terrorismo”. Ma come ha scritto il filosofo brasiliano Paulo Freire nel suo libro Pedagogy of the Oppressed:
“Con l’instaurazione di un rapporto di oppressione, la violenza è già iniziata. Mai nella storia la violenza è stata avviata dagli oppressi. Come potrebbero essere gli iniziatori, se essi stessi sono il risultato della violenza? […] Non ci sarebbero oppressi se non ci fosse stata una precedente situazione di violenza che stabilisca la loro sottomissione. La violenza è iniziata da coloro che opprimono, che sfruttano, che non riconoscono gli altri come persone, non da coloro che sono oppressi, sfruttati e non riconosciuti”.
È evidente a tutti tranne che ai liberali occidentali e all’élite israeliana che sostengono che i palestinesi sono usciti vittoriosi dalle proteste nella Palestina storica e dall’assalto a Gaza.
Questi eventi mettono fine al famigerato “accordo del secolo”, riaffermando che i palestinesi non rinunceranno alle loro pretese su Gerusalemme. Piantano un altro chiodo nella bara della soluzione fittizia dei due Stati, portano la liberazione e i diritti dei cittadini palestinesi di terza classe in Israele e cinque milioni di rifugiati in cima all’agenda della comunità internazionale. Hanno anche portato alla ribalta una nuova coscienza palestinese che sfida l’egemonia fossilizzata degli accordi di Oslo del 1993.
La nuova coscienza formata dal sumud e dalla resistenza palestinesi è chiaramente caratterizzata dal rifiuto delle condizioni imposte dall’apartheid israeliano alle tre componenti del popolo palestinese, i residenti a Gaza e in Cisgiordania, i palestinesi nei territori occupati da Israele nel 1948 e i rifugiati che vivono nei campi profughi e in diaspora. Ancora più cruciale, questo è un rifiuto delle briciole che vengono offerte come ricompensa per il buon comportamento a una minoranza selezionata di palestinesi.
Ci è stato chiesto di accettare l’occupazione israeliana nella sua forma peggiore: il muro dell’apartheid, le colonie, i posti di blocco, le strade segregate, le targhe colorate, gli sgomberi forzati e le demolizioni di case, il “coordinamento della sicurezza”, gli arresti, la tortura e l’imprigionamento – l’alternativa sarebbe stata l’imposizione di un blocco medievale e l’essere periodicamente bombardati nella morte e nell’oblio.
Ma la risposta di questa primavera da Gaza, Gerusalemme, Lydda, Haifa e dal resto della Palestina storica è stata molto chiara: il popolo palestinese non sarà ridotto solo a chi vive nei territori occupati del 1967. Stiamo assistendo a un cambio di paradigma dal separatismo rappresentato dalla soluzione dei due Stati – che mira a stabilire un Bantustan palestinese e negare i diritti di milioni di persone alla loro terra – alla piena unità palestinese.
È vero, la vittoria palestinese è stata molto costosa, ma è stata decisiva. Il popolo palestinese ha prevalso su un regime di apartheid armato fino ai denti e sulla sua Iron Dome di fabbricazione americana sfondando la propria “Mental Dome”. La Palestina dopo Gaza 2021 non sarà come la Palestina di prima. I palestinesi hanno iniziato a decolonizzare le loro menti, allontanandosi dal “processo di pace” e dalla soluzione razzista dei due stati, e con il loro sumud hanno messo in ginocchio l’arrogante regime sionista in Palestina.
Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Al Jazeera.