27 luglio 2022 | di Ali Awad e Emily Glick
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Attenzione: immagini esplicite e dettagli di violenza e lesioni personali.

Mahmoud Awad nel suo villaggio di Tuba a Masafer Yatta, in Cisgiordania. (Emily Glick)
“Ho perso la vita mentre sono ancora vivo. Rinchiuso nel mio letto, non riesco a guardarmi intorno, nè nel mio villaggio nè nel futuro”.
Harun Abu Aram, 25 anni, vive in un letto d’ospedale improvvisato nel mezzo di un deserto. Ha vissuto qui, nel suo corpo paralizzato, per 572 giorni, da quando un soldato israeliano gli ha sparato un proiettile nella spina dorsale. La famiglia Abu Aram, che ha costruito la tenda in cui ora vive Harun, trascorre tutte le ore di veglia lavorando per mantenerlo in vita.
La pulizia etnica di Masafer Yatta, situata nelle colline a sud di Hebron, nella Cisgiordania occupata, è accelerata negli ultimi mesi. Dopo una sentenza della Corte Suprema del 4 maggio – che ha consentito allo stato di iniziare a espellere con la forza i palestinesi da otto villaggi della zona per far posto a una zona di tiro militare – i bulldozer sono arrivati per radere al suolo dozzine di case.
I militari hanno anche condotto un addestramento alle armi della durata di un mese, e lo stato ha aumentato il monitoraggio dei residenti e il targeting degli attivisti nella regione. Gli otto villaggi situati all’interno della “Firing Zone 918” ospitano oltre 1.000 palestinesi, i quali stanno vivendo un costante e violento incubo. Continue reading →