Ramallah 16 ottobre 2023
“Il 22 settembre, all’ONU, Netanyahu ha spiegato le trattative per la normalizzazione dei rapporti con l’Arabia Saudita sventolando una mappa del nuovo Medio Oriente in cui tutto era Israele. Anche la West Bank. Anche Gaza. E quel giorno, il 2023 era già stato l’anno con più morti dalla Seconda Intifada. Ho visto l’attacco in TV. Come tutti. Non ero stato informato da Hamas. Ma posso davvero dire che non sapevo? Che non immaginavo? Dopo mesi e mesi di raid ovunque? Di caccia all’arabo? Di coloni senza freni? Certo che sapevo. Tutto il mondo sapeva. Anche voi”.
Anche per Mustafa Barghouti, 69 anni, e da 16, mediatore tra Fatah e Hamas per un governo di unità nazionale, cerniera con gli islamisti, quello del 7 ottobre non è stato un attacco, ma piuttosto, “radit fi’il”: la reazione. La sua Mubadara, terza forza in Parlamento, è l’anima della resistenza non violenta. In arabo, significa L’Iniziativa. Quella che per tutta la vita, si è battuto perché i palestinesi recuperassero. Ma non così.
Cosa ha pensato il 7 ottobre?
Quello che hanno pensato tutti, credo. Mi ha colpito la scala dell’attacco: e mi ha colpito la vulnerabilità di Israele. Ma non è stata solo questione di intelligence. Più che un fallimento tecnico, è stato un fallimento morale. Israele ci monitora uno a uno da anni: ma concentrato sui dettagli, ha perso il senso complessivo delle cose. Perché ci ha sempre considerato di serie B. Come ha detto il ministro della Difesa, Yoav Gallant: “human animals”. Armati di quattro razzi di latta assemblati con gli avanzi dei suoi missili intelligenti. Non ha visto la sofferenza, la disperazione, il rancore che montavano. L’odio. E non ha capito di che sarebbe stato capace. Molti degli uomini di Hamas non erano mai stati fuori Gaza.
E a Gaza ora c’è un morto ogni 5 minuti.
In una popolazione che per il 43% ha meno di 14 anni. Israele in questo momento è guidato dal dolore. E soprattutto, da Netanyahu. Che è nell’angolo. Perché non solo sa che a guerra conclusa, perderà il potere, e l’immunità nei processi in cui è imputato: e finirà in carcere. Sa che il giudizio della Storia sarà peggio di quello dei tribunali. Ed è pronto a tutto per rimediare. Uno così, è pericoloso. Non solo per i palestinesi. Per gli israeliani.
L’obiettivo di Israele è eliminare Hamas. Ma è possibile?
No. Ovviamente. Ed è il motivo per cui l’obiettivo vero secondo me è un altro: forzare l’Egitto ad aprire Rafah. Perché i palestinesi lascino Gaza. Per sempre. Sono ore molto difficili. Con Hamas che cerca invece di trattenerli per evitare i bombardamenti a tappeto sui tunnel. Tutta Gaza è ostaggio. Non solo i 199 israeliani.
Ma cosa e quanto resterà di Hamas?
Resteranno alcuni leader, molti combattenti e moltissimi sostenitori, tanto per cominciare. Non è possibile eliminarli tutti. Tanto più che non stanno solo a Gaza. Ma soprattutto, resterà quello che è sempre rimasto di tutti quelli che di volta in volta definite “terroristi”: l’idea. Ai tempi dell’OLP, Arafat era visto esattamente come Yahya Sinwar.
Che ripercussioni avrà tutto questo sulla West Bank? Le bandiere verdi di Hamas sono ovunque. Sarà il secondo fronte?
Il 7 ottobre, l’esercito ha bloccato ogni strada della West Bank. Questo è già il secondo fronte, se calcoli quante migliaia di soldati sono bloccati qui per bloccarci. Perché è un classico, in questo gioco di specchi: fai a te stesso quello che fai all’altro. E comunque, questa è l’intervista sbagliata, per questa domanda: va chiesto ai coloni. Sono i coloni a sparare.
E il governo di unità nazionale che sembrava pronto?
Formeremo tutti insieme un nuovo governo dopo nuove elezioni.
Tutti insieme? Ma Hamas è avanti in tutti i sondaggi.
Ma i voti non sono seggi. I voti vengono tradotti in seggi dalla legge elettorale. E la nostra nuova legge elettorale è proporzionale, invece che maggioritaria, proprio per garantire un governo di coalizione. Ed evitare le faide.
Per ora alla Muqata c’è ancora Mahmoud Abbas.
Sì. Credo che oggi fosse al telefono con il presidente del Venezuela.
Ha detto che Hamas non rappresenta i palestinesi.
E’ l’Autorità Palestinese a non rappresentare più nessuno. E non è solo questione di Mahmoud Abbas. Esiste un governo, qui. Un primo ministro, dei ministri, dei deputati, dei funzionari. Delle istituzioni. Dei poliziotti. Dove sono? Sono spariti tutti.
C’è anche un terzo fronte. A nord. Il fronte con Hezbollah.
Che è un fronte imprevedibile. Il rischio è reale: Hezbollah non esclude di intervenire. E la sua decisione non dipende solo dall’evoluzione della guerra a Gaza. In questo momento tutto il mondo arabo è con i palestinesi, se non proprio con Hamas: e quindi la pressione ad agire è fortissima. Non è retorica: in queste ore basta niente perché si infiammi tutto.
Ma non temete di essere trascinati in una guerra altrui? Di diventare di nuovo pedine di un gioco molto più ampio?
Certo. Ma sono dinamiche su cui la nostra influenza è minima. Come anche l’influenza di Israele, onestamente: perché se c’è una cosa che abbiamo in comune, è che veniamo usati. E anche per questo è tempo di parlarci. Perché alla fine, siamo noi a stare qui. Non quelli che tifano dagli spalti.
Gli Accordi di Oslo sono morti?
Quasi 500mila coloni abitano nella West Bank, in oltre 130 insediamenti e 100 avamposti. Altri 200mila sono a Gerusalemme. Siamo sparsi in più di 165 frantumi di terra. Avere due stati, qui, ormai è un problema geografico, prima ancora che politico.
Pensa che uno stato unico sia ancora possibile?
Ancora? Finora abbiamo provato solo l’Occupazione, o la guerra. E non ha funzionato. Perché non proviamo piuttosto a vivere tutti insieme? Tutti uguali?